SULLE STRUTTURE GRUPPALI DELLA SESTINA PETRARCHESCA

Luigi Petruzzelli, 1997 - Distribuzione libera per scopo non commerciale, a patto che sia citato l'autore.


SULLE STRUTTURE GRUPPALI DELLA SESTINA PETRARCHESCA

Articolo serio in forma meno seria - 7 Giugno 1996

Ibam forte via ferrata, sicut meus est mos,... No, dopo più di dieci anni che non lo vedo è decisamente meglio che lasci perdere il latino: combino solo disastri con la metrica.

Dunque, dicevo, me ne andavo tranquillo sul treno, come faccio tutti i giorni per recarmi al lavoro, meditando non so più quali inutili stranezze. Stufo, tirai fuori dalla borsa il Canzoniere del Petrarca. “Ma che, Petrarca è il rompiballe?” Beh, insomma, con la storia di Laura, ogni tanto... ma lasciamo stare, adesso questo non mi interessa. Poiché sono un tipo metodico, leggo il Canzoniere dalla prima pagina verso l’ultima, concedendomi soltanto raramente di aprirlo a caso e scorrere il primo sonetto che capita.

Così, sonetto dopo sonetto, giunsi a una sestina:

     “A qualunque animale alberga in terra,
     se non se alquanti ch’anno in odio il sole,
     tempo da travagliare è quanto è ‘l giorno;
     ma poi che ‘l ciel accende le sue stelle,
     qual torna a casa e qual s’anida in selva
     per aver posa almeno infin a l’alba.”

Fine della prima strofa, inizio della seconda strofa (evviva Elio!).

     “Ed io, da che comincia la bella alba
     a scuoter l’ombra intorno de la terra,
     svegliando gli animali in ogni selva,
     non ò mai triegua di sospir’ col sole;
     poi quand’io veggio fiammeggiar le stelle,
     vo lagrimando, e disiando il giorno.”

Io sono un formalista, e mi piace lo schema delle rime. E ancor di più mi piace uno schema di rime suicida. “Animale che alberga in treno, ma non sai che lo schema della sestina è questo?” Beh, sì, mi era capitato di leggerne distrattamente qualcuna, e di vedere come il commentatore ne presentava la struttura: “Siano le parole finali di ogni verso della prima strofa ABCDEF; allora quelle della seconda saranno FAEBDC, quelle della terza C...”. Non mi aveva detto molto. Però, guardiamo un attimo questo schema: sei sestine, una terzina.

Come cavolo è lo schema delle rime? Dunque, invece di chiamarle A, B ecc. chiamiamo 1 la rima del primo verso della prima strofa, 2 il secondo, e così via fino al 6. Allora la prima strofa è “123456”. “E grazie tante!”. Sono un lettore coriaceo, e non mi distraggo. Così la seconda strofa diventa “246531”. “Ecco, adesso hai ottenuto tanto!”. Sono testardo, e continuo. Se adesso chiamo 1 il primo verso della seconda strofa, 2 il secondo, e così via fino al 6, la terza strofa, rispetto alla seconda, è ancora “246531”. Teh, ha applicato la stessa sostituzione. Vediamo se lo stesso giochetto funziona anche con le altre strofe... Sì, funziona!

Che strano, mi ricorda quasi i miei studi di quasi dieci anni fa (sì, proprio quando ho cominciato a dimenticare il latino). Gruppi, si chiamavano gruppi di trasformazioni. Orbene, vediamo di proseguire degnamente la figuraccia con i letterati (che diranno: “Ma tu non sai nulla di poesia!”) e con i matematici (che diranno: “Ma tu non sai nulla di Matematica!”). Ebbene, è vero: io sono un misero laureato in Matematica (non un matematico, che è ben altra cosa); non so nulla di teoria dei gruppi, se non quel che mi resta del poco che si insegna al primo anno, e men che meno di letteratura, che rammento dai tempi del Liceo. Ma voglio gettare una pietra nel lago, per quel che serve. Tanto scommetto che questo lavoro è già stato svolto, e meglio, da altri: è il mio destino. E lasciatemi divertire (non l’avrà mica già scritto qualcuno? Plagiario!).

Beh, per continuare la figuraccia, vediamo di inimicarci in un colpo letterati e matematici, spiegando in modo non formale (orrore!) che cos’è un gruppo di trasformazioni.

Cominciamo col definire assiomaticamente gli insiemi, secondo Cantor... Ma siamo matti? Cerchiamo di scrivere qualche decina di pagine in meno! Dunque, cominciamo col definire una trasformazione su degli oggetti come un qualcosa che trasforma degli oggetti in altri oggetti in modo ben definito (nel senso che so esattamente quale oggetto associare a ogni oggetto). Definirò poi un’operazione di prodotto tra trasformazioni, ma si tenga ben presente che non sarà l’ordinaria moltiplicazione tra numeri; è un qualcosa di più generale. Il prodotto tra due trasformazioni sarà indicato con un pallino, quasi a indicare che è una bella rottura. Ma disegneremo i pallini interi. Così il prodotto tra le trasformazioni a e b sarà indicato con a°b.

Quindi, definiamo la nostra trasformazione di versi così:

     (1 2 3 4 5 6
      2 4 6 5 3 1),

che scriveremo più in breve (246531).

“E che vuol dire?” Ovviamente, che la parola finale del primo verso di una strofa viene trasformata nella parola finale del secondo verso della strofa successiva, la parola finale del secondo verso della strofa nella parola finale del quarto verso della strofa successiva, e così via. In questo modo abbiamo legato tutti i versi di una strofa a quelli della successiva; e questa trasformazione descrive tutte le strofe, dalla prima sestina all’ultima.

Supponiamo adesso di partire dai versi della prima strofa, e di voler ricavare la struttura dei versi della terza: che cosa dobbiamo fare? Facile: dobbiamo applicare due volte la nostra trasformazione; la prima volta per trasformare la prima strofa nella seconda e la seconda volta per trasformare la seconda strofa nella terza. Dovremo così fare

     (246531)°(246531)=(451362).

“Come l’hai ottenuto, solo guardando quei numeri?” Ricordiamoci che quella scrittura è l’abbreviazione di

     (1 2 3 4 5 6  ° (1 2 3 4 5 6  = (1 2 3 4 5 6
      2 4 6 5 3 1)    2 4 6 5 3 1)    4 5 1 3 6 2).

Applicare due volte di seguito la nostra trasformazione ( e cioè calcolarne il prodotto con se stessa) significa: la prima volta il primo verso va nel secondo; ma, la seconda volta, il secondo verso va nel quarto; complessivamente, il primo verso va nel quarto. La prima volta il secondo verso va nel quarto, e la seconda volta il quarto verso va nel quinto; complessivamente, il secondo verso va nel quinto. E così di seguito: questo spiega la scrittura riportata sopra a destra.

Invece di (246531)°(246531) scriveremo più in breve, abusando della nomenclatura di “prodotto” introdotta, (246531)2.

Che dite, che non avete capito niente? Beh, leggetevi una trentina di pagine di un qualunque libro di algebra elementare e forse vi sarà più chiaro.

Controlliamo la terza strofa, e vediamo che l’ultima parola del primo verso è davvero “giorno”, del secondo “alba” e così via.

In modo analogo possiamo calcolare

     (246531)3=(532614)
     (246531)4=(364125)
     (246531)5=(615243)
     (246531)6=(123456)

Sorpresa! Ripetendo per sei volte la trasformazione indicata, siamo tornati al punto di partenza. (“Ehi, fermo un attimo! Se la applico ancora, fino all’undicesima potenza, ottengo una sestina doppia, come la CCCXXXII “Mia benigna fortuna e ‘l viver lieto”. Beh quasi: stiamo continuando a dimenticarci della terzina finale).

Possiamo così considerare l’insieme

     {(123456), (246531), (451362), (532614), (364125), (615243)}.

Se indichiamo con g la trasformazione (246531) tale insieme si riscrive come

     {g, g2, g3, g4, g5, g6} o, ancora più in breve, <g>.

Nel nostro caso g6=u, cioè la trasformazione che in realtà non trasforma nulla.

Chiamando G tale insieme (nel nostro caso gruppo, per i motivi che vedremo in seguito) potremo così scrivere G=<g>, dove |G|=6 (|G| è l’ordine di G, cioè il numero dei suoi elementi).

G è un gruppo ciclico (perché si può ottenere tramite tutte le potenze di un suo singolo elemento, nel nostro caso g) di ordine 6.

Ma che cos’è un gruppo? Un apostrofo nero posto tra due parole, “T’odio”... Beh, non proprio.

Dunque, per avere un gruppo abbiamo bisogno di tre cose:

  1. Un insieme di elementi;
  2. Un’operazione su questi elementi;
  3. Alcune proprietà che devono essere soddisfatte da questa operazione.

L’insieme di elementi c’è: G, costituito dalle trasformazioni sulle parole finali dei versi della prima strofa (insomma, quel che conta non sono le parole, ma il modo in cui cambiano: panta rei).

L’operazione c’è: il prodotto di trasformazioni.

Le proprietà sono soddisfatte. Nell’ordine:

La verifica è immediata (che bello! Quando all’università, un testo, o peggio ancora un professore, diceva “la verifica è immediata”, questo in genere significava un buon numero di pagine di calcoli. Però qui, con un po’ di furbizia, è davvero immediata. Al più ardimentoso dei miei quindici Lettori - non ne pretendo venticinque - il semplice esercizio. Riscoprirà che le proprietà delle potenze, che valevano per i numeri, valgono per queste trasformazioni di rime.)

“A che pro?” Non ne ho la minima idea: possano la matematica e la poesia non essere mai utili a nessuno. Dopo applicazioni alla fisica delle particelle, alla cristallografia e alla mosaicatura del piano, era abbastanza probabile che esistessero applicazioni della teoria dei gruppi anche alla poesia e, ritengo, alla musica (sebbene già qui entrino in gioco le reti di Petri e la rappresentazione matriciale dei digrafi, tanto per citare qualcosa). Ha importanza che G sia abeliano? A che mi serve sfruttare il teorema di Lagrange e dire che ogni gruppo di trasformazioni su sei versi, dovendo essere un sottogruppo di G6!, deve avere per ordine un divisore di 720? E che significherebbe scoprire che un certo gruppo è normale in un altro?

Continuo a non averne la minima idea. Comunque è certo che quanto asserito in queste poche pagine può essere esteso: ho già visto in qual modo sia possibile per i sonetti italiani e inglesi (quest’ultimi del resto caratterizzati da gruppi un po’ banali) e le terzine dantesche. La notazione che si ottiene è piuttosto formale, e pone le basi per misure oggettive di complessità di una forma metrica.

Ma tutto ciò sarà forse oggetto di altri scritti.

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Ultimo aggiornamento 1997-05-29